Immaginate un calamaro come quelli che si usano per il cacciucco o per la frittura mista; ingranditelo fino al punto che il suo occhio diventi grande come la testa di un uomo e il suo corpo (compresi i tentacoli) lungo come un autobus. Ecco, queste più o meno sono le dimensioni reali di un calamaro gigante.
Tante leggende sono state raccontate su mostri marini e creature misteriose e aggressive che abitano i mari.
Una di queste riguarda il temibile kraken, che altro non è che la versione fantastica del calamaro gigante. Nella mitologia greca, Scilla, la ninfa trasformata in mostro marino nello stretto di Messina, sarebbe proprio la trasposizione leggendaria di un calamaro gigante.
Oggi si sa con certezza che esiste una specie di calamaro gigante, Architeutis dux, secondo in peso solo al calamaro colossale. È un invertebrato, le cui dimensioni raggiungono i 13 m per i maschi e 10m per le femmine e il peso medio rispettivamente di 275 kg e 150 kg. Possiede, come il calamaro comune (Loligo vulgaris), 8 braccia e 2 tentacoli che portano oltre alle ventose, anelli taglienti di chitina. Spesso sulla pelle dei capodogli (Physeter macrocephalus) si trovano i segni circolari delle ventose di calamaro.
Il calamaro gigante infatti è una delle prede preferite dal capodoglio. Vive a profondità elevate e quando risale per cacciare, soprattutto pesci mesopelagici e altri cefalopodi, si espone alla predazione da parte dei capodogli.
Con questi ultimi può intraprendere una vera e propria lotta al momento della predazione.
Per conoscere di più su questa specie si sono seguiti proprio i capodogli, e dalle informazioni sugli ambienti di caccia di questi ultimi si sono rintracciate le aree di presenza del calamaro gigante (Kubodera e Mori, 2005). Il Cnr di Pisa ha prodotto una mappa di distribuzione della specie, che è presente anche in Mediterraneo.
Oggi tra le aree ritenute a maggior coancentrazione del calamaro gigante ci sono le acque del Giappone, da Terranova al Golfo del Messico, le acque tra Namibia e Sud Africa, l’Atlantico nordorientale, le acque della Nuova Zelanda e dell’Australia sudorientale.
La maggior parte delle informazioni che si hanno sulla specie derivano da spiaggiamenti o eventi di bycatch. La prima osservazione del calamaro gigante vivo, nel suo ambiente naturale, risale solo al 2004, quando Kubodera e Mori catturarono con immagini video e foto un esemplare della lunghezza stimata di più di 8 m compresi i tentacoli(4.7m senza tentacoli), alla profondità di 900m.
Il calamaro aveva abboccato all’esca posta sotto la videocamera, mostrando così anche la sua tecnica di caccia. I tentacoli venivano usati proprio come strumenti costrittori(similmente alla strategia del pitone). Nel predare l’esca il calamaro gigante rimase intrappolato all’amo col tentacolo e dopo 4 ore si liberò, perdendo però il tentacolo rimasto attaccato all’amo.
Il primo esemplare vivo avvistato fuori dalle acque giapponesi è stato segnalato in superficie nelle acque di Bares in Galizia, nell’ottobre 2016. Era una femmina ferita gravemente, spiaggiatasi poco dopo.
Secondo la ricostruzione di Guerra, Gonzalez e Pierce(2018) l’esemplare era stato attaccato da un altro calamaro gigante per rubargli la preda (cleptoparassitismo), e quindi trascinato inerme dalle correnti.
Molto c’è ancora da sapere sulla specie, sul suo comportamento e sulla sua ecologia. Non esistono particolari minacce per la specie, anche se è probabile che gli effetti delle indagini sismiche si ripercuotano anche sui calamari giganti(Guerra et al.,2004).
Se state pensando a zuppe di calamaro gigante nel menù di una festa con numerosi invitati, rinunciate: i suoi tessuti contengono sali di ammonio che ne permettono il galleggiamento e non possono quindi essere consumati.
Qui sotto prima foto di Kubodera e Mori del calamaro gigante vivo nel suo ambiente naturale, a 900 m di profondità nelle acque del Giappone.