Davanti una bella pepata di cozze, molti amanti di questi molluschi non si creano problemi nel mangiarli accompagnati dal suono del sorbire una cozza direttamente dal guscio che permette di gustare appieno il sugo che la accompagna.
Ma cosa potrebbe essere contenute nelle cozze che ti potresti mangiare e che potrebbero avere una provenienza ignota? Scopriamolo insieme.
Composti invisibili all’occhio umano chiamate biotossine marine rappresentano un aspetto criticamente rilevante. Il rischio di intossicazione da biotossine è principalmente legato al consumo di molluschi bivalvi filtratori (soprattutto Mytilus edulis e Mytilus galloprovincialis, le comuni cozze), che sono gli alimenti più a rischio, quando provenienti da acque con fioriture algali (maree rosse, “red tide”,” harmful algal bloom”, “HABs”, “eaux rouges”, “purga de mar”, sono solo alcune delle espressioni usate per indicare un abnorme sviluppo della componente vegetale acquatica che si verifica, in acque dolci e marine, in ogni parte del mondo) in atto perché possono accumulare tali sostanze in quanto formidabili filtratori d’acqua.
Gli HABs (che possono essere prodotti da un gran numero di organismi microscopici, inclusi cianobatteri, diatomee o dinoflagellati) si evidenziano quando, a particolari condizioni climatiche e correntimetriche, si associa, attraverso le emissioni fluviali, un maggior apporto di nutrienti (sali di N e di P) provenienti dal dilavamento del terreno (eutrofizzazione naturale) o, come sempre più spesso accade, da scarichi urbani, industriali, agricoli e zootecnici (eutrofizzazione antropogenica).
Durante questo fenomeno si hanno molto spesso conseguenze drammatiche che si manifestano con la morte di fauna marina come mammiferi marini, tartarughe marine, avifauna marina, pesci, crostacei e molluschi.
La sensibilità dei mammiferi marini dipende non solo dalla presenza delle specie di alghe che le producono, ma anche dal trasferimento che avviene a livello della catena alimentare marina e che permetterebbe ad alcuni organismi di diventare vettori ideali per favorire la contaminazione dei cetacei. Alcune microalghe sono anche in grado di produrre ittiotossine che, agendo attraverso le branchie, possono essere causa di estese morie di pesci.
Nell’Artico è stata confermata la presenza di tossine algali nei tessuti di alcune specie di molluschi molto diffusi in quelle particolari aree, mentre altre ricerche condotte sui molluschi dell’Argentina e del Canada hanno rivelato che le biotossine non si accumulano nel muscolo di questi invertebrati ma piuttosto nelle loro uova.
Per quanto riguarda invece i gamberi, i granchi e le aragoste delle zone più a nord del globo terrestre si è appurato che le tossine algali prediligono una forma di accumulo che interessa le ghiandole digestive di questi crostacei e non i loro tessuti muscolari.
Le ficotossine riescono ad arrivare persino a colpire l’uomo, che si ciba di crostacei e molluschi. Sono decine di migliaia le persone, ogni anno, le vittime di intossicazioni legate al consumo di prodotti della pesca e dell’acquacoltura.
In queste condizioni l’utilizzo ricreativo dell’acqua è alquanto compromesso, costringendo il turista ad allontanarsi dalla spiaggia e imponendo all’autorità sanitaria una più attenta valutazione del rischio, sia in riferimento alla balneazione, perché si possono manifestare dermatiti, disturbi alla respirazione, ecc., sia perché i prodotti ittici, pescati o raccolti in quelle aree, possono essere contaminati.
Le biotossine algali sono suddivise in base alle caratteristiche di solubilità in idrosolubili e liposolubili. Tra le biotossine idrosolubili ricordiamo:
1) PARALYTIC SHELLFISH POISONING (PSP) e responsabile di tale avvelenamento è la saxitossina (diffusa in tutto il mondo, particolarmente presente in Alaska e nella Terra del Fuoco; nelle acque costiere italiane tale biotossina è rara, pur essendo stati segnalati casi di presenza in mitili;
2) AMNESIC SHELLFISH POISONING (ASP) e responsabile di tale avvelenamento è l’acido domoico e i suoi isomeri (Riconosciuta per la prima volta come causa di avvelenamento in Canada nel 1987. E’ presente nelle acque costiere del Nord Europa.
Nel Mar Mediterraneo non è mai stata segnalata presenza di ASP).
Tra le biotossine liposolubili ricordiamo:
1) DIARRETHIC SHELLFISH POISONING (DSP) e appartengono a questa categoria l’acido okadaico (OA) e suoi derivati chiamati dinophysitossine (DTXs), composti polieterici liposolubili (Diffusione cosmopolita, episodi di intossicazione sono stati segnalati anche in Italia);
2) YESSOTOSSINE (YTXs): composti ad azione tossica nel topo. A tutt’oggi non sono segnalati casi di intossicazione umana. Presenti nel Mar Adriatico;
3) PECTENOTOSSINE (PTXs): composti liposolubili, ad azione tossica nel topo. Segnalati casi in Italia;
4) AZASPIRACID (AZP): composto liposolubile. Presente nelle aree costiere del Nord Europa.
Da un punto di vista chimico-strutturale, le biotossine possono essere suddivise in diverse classi, tra cui aminoacidi (acido domoico), alcaloidi (saxitossina e tetrodotossina) e polichetidi (tutti gli altri).
In base alla sintomatologia prevalente, si possono classificare in cinque categorie: paralitici (PSP, TFP), neurotossici (NSP), gastroenterici (DSP, AZP), amnesici (ASP), respiratori (BTX, PLTX). Tutte queste biotossine hanno tossicità molto elevata, seconda solo a quella delle neurotossine tetanica e botulinica e al veleno del cobra.
Oltre alla tetrodotossina (prodotta da alcuni batteri simbiotici che il pesce palla tende ad accumulare) e alla saxitossina (prodotta da dinoflagellati), assai pericolose sono le ciguatossine, gruppo di sostanze meno note dotate di azione neurotossica, presenti in oltre 400 specie di pesci tropicali o subtropicali. Si tratta in genere di specie commestibili che in certi periodi dell’anno accumulano la tossina forse in seguito all’ingestione di alghe tossiche.
Non meno tossiche sono altre biotossine, come la clupeotossina, una sostanza di composizione ignota responsabile di gravi intossicazioni per consumo di pesci dell’ordine Clupeiformi.
Una sindrome tossica di tipo allucinatorio è provocata dall’ittioallieinotossina, veleno che può essere presente nei tessuti di numerosi generi di pesci tropicali appartenenti alle famiglie Acanturidi, Mugillidi, Pomacentridi e altre.
Anche alcune specie di tartarughe marine possono provocare avvelenamenti alimentari per il contenuto nelle loro carni di biotossina delle quali tuttavia al momento attuale poco si conosce: tra le specie a più alto rischio la tartaruga verde, la dermochelide e soprattutto la tartaruga embricata.
Tipico esempio di biotossina da contaminazione è la scombrotossina, l’agente responsabile di una benigna quanto comune forma di intossicazione dovuta al consumo di tonno in scatola o di altri Scombridi conservati in modo improprio. Sarebbe dovuta all’azione prodotta da certi organismi marini sui tessuti del pesce.
Attualmente tale problema sta assumendo dimensioni preoccupanti per l’aumento del numero di alghe tossiche, dovuto da un lato all’eutrofizzazione delle aree marine costiere e dall’altro alla progressiva diffusione di fitoplancton in nuove aree geografiche attraverso, ad esempio, l’acqua di zavorra trasportata dalle navi da carico.
Le biotossine sono composti termostabili e pertanto la cottura dei molluschi non riduce il rischio di avvelenamento.
Quindi consumare molluschi bivalvi (crudi o cotti), provenienti da aree non controllate per la presenza di biotossine algali.
L’unica “certezza” è consumare molluschi bivalvi (crudi o cotti), di origine certa: controllare l’etichettatura.