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27 orizzontale: delfino fluviale

27 orizzontale: delfino fluviale

Almeno una volta, un giocatore incallito di cruciverba ha trovato questa definizione durante il suo relax. La risposta, dopo un po’, viene spontanea e il giocatore riempie gli spazi con questo nome:” Inia ”, spesso senza chiedersi se quella definizione si riferisce a un animale realmente esistente oppure a un essere mitologico.

Per prima cosa, quindi, è necessario puntualizzare questo: sono animali reali e non solo, sono considerati dall’IUCN (Unione Internazionale per la Conservazione della Natura) in pericolo di estinzione (EN) (fonte: IUCN Red List, 2004). Le minacce che questi animali hanno in comune fra loro sono: l’inquinamento, lo smodato uso delle risorse biologiche, la frammentazione e distruzione dell’habitat. Altre sono prettamente legate alla zona mondiale in cui vivono che andiamo ora ad affrontare.

Per prima cosa è necessario puntualizzare che il termine “delfino fluviale” racchiude due famiglie principali di Cetacei provenienti da due diverse parti del mondo. Le famose Inie, tipiche dei fiumi sudamericani, e le Plataniste, abitanti delle acque interne asiatiche.
Sebbene vivano in due continenti diversi, questi animali condividono praticamente la stessa anatomia, la quale si è sviluppata per far fronte alle particolari condizioni che quell’ambiente inusuale richiede.

Entrambi presentano un lungo rostro su cui sono presenti da 20 a 35 denti per arcata, atto ad intrufolarsi negli intricati labirinti di radici di mangrovie o detriti vari per catturare le prede nascoste all’interno. Inoltre, la natura torbida di quelle acque ha fatto sì che la vista di questi delfini diventasse un senso quasi vestigiale, così da sviluppare in modo estensivo l’ecolocalizzazione, ossia il sistema di rilevamento prede/ostacoli basato sul suono, tipico dei Cetacei e dei Pipistrelli; tant’è che il loro melone (organo adiposo atto alla direzionalità degli impulsi sonori emessi posto sulla fronte) è molto più malleabile rispetto agli altri Cetacei, tanto da cambiare sensibilmente la conformazione del capo.

Un’altra caratteristica unica è legata alla colorazione della loro pelle, la quale, con l’avanzare dell’età raggiunge tonalità molto chiare, quasi rosate (infatti sono anche conosciuti come ‘delfini rosa’), soprattutto in quelle popolazioni che vivono nelle acque torbide e tumultuose dei fiumi. Un’ultima particolarità di questi delfini è la conformazione delle loro vertebre cervicali. In quasi tutte le specie di Cetacei, i corpi vertebrali sono fusi insieme, impedendo o limitando di molto la motilità della testa; cosa non presente nei delfini fluviali, i quali sono in grado di ruotare il cranio di ben 90° rispetto l’asse del collo e in tutte le direzioni. Ciò è dovuto alla necessità di un maggior raggio d’azione per il maneggiamento del rostro e dalla necessità di una migliore mobilità durante il nuoto.

Nonostante queste due famiglie di Odontoceti condividano molte caratteristiche sostanziali, è necessario descriverne anche le differenze, così da comprenderne appieno i pericoli a cui questi animali vanno incontro ed agire di conseguenza.
La famiglia Iniidae comprende solo la specie Inia geoffrensis (delfino dell’Amazzonia), conosciuta anche come boto, bufeo o delfino rosa. La specie è suddivisa in 3 sottospecie:

  • I.g. geoffrensis, localizzato nel Rio delle Amazzoni in Brasile;
  • I.g boliviensis, localizzato nel Fiume Madeira in Bolivia;
  • I.g humboldtiana, localizzato nel bacino dell’Orionco in Venezuela.

Hanno una dieta molto varia che va da piccoli pesci, come i tetra, fino alle tartarughe di fiume; ciò che fa sì che abbiano una dentizione eterodonte atta ad afferrare e frantumare le prede. A differenza delle Plataniste, le Inie sembrano avere una buona vista, sia dentro che fuori dall’acqua. Vivono in piccoli gruppi e si riuniscono soprattutto in presenza di cibo abbondante, talvolta facendosi aiutare di altri predatori, come le lontre.

Similmente alle orche, questi delfini dimostrano un diformismo sessuale piuttosto marcato, poiché il maschio è il 16% più lungo e il 55% più pesante di una femmina. Con i loro 2.5 metri e 185 Kg di stazza, il delfino amazzonico è la specie fluviale più grande di tutte, ma ciò non lo protegge dalla minaccia più seria a cui questi animali vanno incontro, ossia l’intrappolamento nelle reti dei pescatori.

Le acque Amazzoniche sono caratterizzate da un ecosistema unico del suo genere, le foreste di vàrzea, ossia foreste stagionali nate dall’esondazione dei fiumi; le quali sono fonte di cibo e protezione per moltissime specie fluviali, oltre che rappresentare una manna per le popolazioni umane locali. Ciò fa sì che le industrie peschiere entrino in competizione con i delfini per la stessa risorsa, il tambqui (Colossoma macropomum) e il pirapitinga (Piaractus brachypomus), due specie di pesci molto richiesti sul mercato sudamericano. Il sovrasfruttamento spinge le Inie a tentare di distruggere le reti dei pescatori e rubarne il contenuto.

Molte rimangono uccise nel tentativo, sia perché rimangono intrappolate, che dalle brutali reazioni dei pescatori stessi. Il governo brasiliano ha cercato invano di mettere fine a questa situazione, ma spesso i delfini catturati vengono consumati e i loro resti usati come esca per un pesce spazzino chiamato piracatinga (Calophysus macropterus). Ciò ha creato un ulteriore problema, poiché, se prima le catture di questi delfini erano accidentali, ora deliberatamente si cacciano le Inie per avere la loro carne da usare da esca. Delle 15 carcasse rinvenute nel fiume Japurà tra il 2010 e il 2011, il 73% dei delfini erano stati uccisi per diventare esche, smaltiti o abbandonati nelle reti (fonte: Iriarte, V.; Marmontel, M. (2013). “River Dolphin (Inia geoffrensis, Sotalia fluviatilis) Mortality Events Attributed to Artisanal Fisheries in the Western Brazilian Amazon”. Aquatic Mammals. 39 (2): 116–124.

La deforestazione è un’altra grande minaccia per questi animali, la quale va a modificare enormemente la dinamica di questo particolare ambiente, i cui equilibri sono estremamente delicati.

Infine, i paesi in cui questi fiumi scorrono sono in via di sviluppo ed estremamente poveri, oberati di problemi sia a livello economico che sociale. Oltretutto, la recente politica brasiliana dedita allo smodato sviluppo umano aumenta ulteriormente il pericolo a cui questi animali cercano disperatamente di sopravvivere.

Passiamo dunque alle Plataniste che, ricordiamo, sono i delfini di fiume della zona asiatica. La famiglia comprende la sola specie Platanista gangetica (delfino fluviale dell’Asia meridionale), suddivisa in due sub-specie principali:

  • P.g. gangetica, localizzata nei fiumi Gange e Brahmaputra e tutti i loro affluenti, in India, Bangladesh e Nepal;
  • P.g.minor, localizzata solo nel fiume Indo in Pakistan.

La loro caratteristica principale è la mancanza del cristallino, la quale ha causato un appiattimento della retina e, di conseguenza, una cecità quasi totale, tant’è che vengono chiamati anche ‘delfini ciechi’. I loro occhi, tuttavia, non sono totalmente inutilizzati, ma la retina è provvista di un denso strato di recettori luminosi, i quali li rende particolarmente sensibili alla luce. Inoltre, sopra gli occhi è presente uno strato di pelle ricco di pigmentazione dotato di un piccolo foro capace di allargarsi o restringersi in base alla quantità e alla direzione della luce.

Questo sistema permette all’animale di capire la sua posizione nello spazio tridimensionale, tanto da spingere questa specie ad adottare un particolare tipo di navigazione, ossia girato sul fianco. La loro dieta è alquanto varia e comprende gamberetti, carpe, pesci gatto, ma anche uccelli e tartarughe. I loro denti, a differenza delle Inie, sono omodonti e sono sottili e incurvati, lunghi circa 2 cm, tanto da uscire dalle mandibole anche quando sono chiuse.

Con l’età i denti si consumano fino a divenire dei dischi piatti. La colorazione della loro pelle tende al brunastro e vivono in piccoli gruppi che raramente si aggregano. Il diformismo sessuale è a favore delle femmine, le quali misurano 2.4-2.6 m, contro i 2.2 m dei maschi. Ciò è dovuto al fatto che il rostro delle femmine non finisce mai di crescere.

Come le Inie, anche le plataniste sono usate come fonte di esche dai pescatori locali, oltre che essere cacciate anche per il consumo umano, dato il loro presunto potere afrodisiaco. Anche l’alto tasso d’inquinamento di questi fiumi è fonte di preoccupazione per la sopravvivenza di queste popolazione, ma il pericolo più grande sono le dighe.

Esse provocano una segregazione forzata tra gli individui con conseguente abbassamento della variabilità genetica della popolazione, rendendoli così più facilmente sensibili a malattie legate ai geni e difficilmente adattabili ai cambiamenti ambientali. Inoltre, le dighe causano un abbassamento drammatico del livello dell’acqua, causando un involontario spiaggiamento o impedendo agli animali di muoversi (Singh, L.A.K. & R.K. Sharma (1985). “Gangetic dolphin, Platanista gangetica: Observations on habits and distribution pattern in National Chambal Sanctuary”. Journal of the Bombay Natural History Society. Bombay Natural History Society. 82: 648–653).

Nella zona asiatica, il delfino fluviale dell’Asia meridionale non è l’unica specie di Cetaceo presente in quella zona, ne esiste, o meglio, ne esisteva un altro: il Baiji (Lipotes vexillifer).

E’ stato dichiarato funzionalmente estinto nel 2006, dopo una missione di ricerca nel fiume Yangtze, dove la specie soleva vivere, durante la quale non ne venne avvistato nemmeno uno (Lovgren, Stefan (December 14, 2006). “China’s Rare River Dolphin Now Extinct, Experts Announce”. National Geographic News. Washington, D.C.: National Geographic Society. Retrieved October 18, 2015). Nel 2017, tuttavia, la speranza sembra essere ritornata a seguito di una serie di avvistamenti avvenuta in quella zona, di cui, però, non si hanno conferme certe sull’effettiva identità della specie. Nella Red List dell’IUCN è dichiarato in estremo pericolo di estinzione.

Ma cosa sappiamo del Baiji?

Esso è il delfino fluviale cinese e copriva un areale di circa 1700 Km lungo il fiume Yangtze da Yichang a Shangai, nei laghi Poyang e Dongting e nel piccolo fiume di Qiantang. La sua anatomia era identica in tutto e per tutto ai suoi cugini indiani, se non fosse per la vista leggermente migliore, i denti conici e la colorazione della pelle tendente al blu/grigio, la quale gli ha valso il nome ‘delfino bandiera bianca’, per il contrasto creato tra la sua pelle chiara sulle scure acque del fiume.

Ciò che ha portato questo delfino sull’orlo dell’estinzione fu la crescente industria cinese nata sulle sponde del fiume Yangtze, la quale portò le classiche minacce, come, inquinamento, deterioramento dell’habitat, pesca incontrollata con dispositivi estremamente distruttivi (elettropesca), bycatch, intrappolamento nelle reti, collisioni. Il grande colpo di grazia, tuttavia, fu la costruzione della diga Three Gorges, la quale, unita ai tardivi e minimali sforzi del governo cinese nel proteggere questa specie, portò al totale annientamento della popolazione di Baiji.
Altre menzioni speciali vanno alla sotalia (Sotalia fluviatilis) e alla pontoporia o franciscana (Pontoporia blainvillei).

La particolarità è che questi due delfini non sono delfini fluviali nel vero senso della parola, poiché diversi adattamenti e spinte evolutive li hanno portati uno ad entrare nei fiumi e l’altro ad uscirne. La sotalia, infatti, presenta tutte le caratteristiche anatomiche di un normale Tursiope, a parte la dimensione più ridotta (1.5 m per la popolazione fluviale e 2.1 m per la popolazione costiera), ma ha il suo habitat lungo tutto il Rio delle Amazzoni e i suoi affluenti in Venezuela, Perù, Colombia ed Equador. La pontoporia, al contrario, presenta tutte le caratteristiche anatomiche e sociali di un delfino di fiume, ma vive lungo le zone costiere atlantiche da Ubatuba (Brasile) alla Penisola di Valdés (Argentina) e nell’estuario marino del Rio de la Plata.

Se per la sotalia non ci sono dati sufficienti, la pontoporia o franciscana è vulnerabile secondo l’IUCN, ma per entrambe è accertata la minaccia rappresentata dalle reti da pesca, contro cui questi animali devono combattere per sopravvivere.

Anche in Italia abbiamo avuto la nostra fetta di delfini fluviali, anche se in realtà si trattava di Tursiopi perduti che hanno risalito l’Arno (2017) e il Tevere (1991) e che dopo poco hanno abbandonato quelle acque per riprendere il largo. Non è tuttavia anormale che delfini costieri come il Tursiope si addentri così tanto nell’entroterra, alla ricerca di riparo dai predatori o di un momento di tregua dalle intemperie marine.

Un pensiero finale: il mare e la terra non sono entità separate, ma connesse da una stretta e fitta rete che dà vita e colore al nostro meraviglioso Pianeta. E’ l’acqua. Ha cullato e protetto la vita sin da i suoi primi passi.

Da miliardi di anni accompagna e sfama gli esseri viventi con i suoi doni. E’ terribile nella sua ira, ma benevolente nella sua calma. Noi cerchiamo di imbrigliarla, di controllarla, egoisticamente pretendiamo le sue risorse, dandole in cambio solo i nostri scarti, avvelenandola.

Non ci rendiamo conto che stiamo solo avvelenando noi stessi, perché noi, dell’acqua, avremo sempre bisogno, fino alla fine, fino quando anche l’ultima goccia di velenosa avidità verrà bevuta.